Al termine della mostra Una selezione di opere di Delio Gennai, sabato 28 maggio lo Studio Gennai di Pisa (via San Bernardo, 6) ospita due appuntamenti.
La presentazione del libro MURI, ARTE e ORDINE PUBBLICO. Il graffitismo nell’arte contemporanea, prevista alle ore 18 con interventi di Alessandro Dal Lago (sociologo), Serena Giordano (Storica dell’arte e artista) e Ex-Voto Fecit (street artist), organizzato e coordinato dalle associazioni culturali Multiversum Arte e Artiglio sarà preceduta alle ore 17 da una conversazione “in controluce” con DELIO GENNAI a cura di Francesca Pepi (Associazione culturale Fuori dal Museo), per apprezzare le opere insieme al loro autore.
DELIO GENNAI. DIALOGHI IN CONTROLUCE (ore 17)
Protagonista dell’incontro è l’opera, in controluce, sospesa tra il suo autore ed il suo nuovo interlocutore, carico di interrogativi e distrazioni sempre più incalzanti.
Silenziosa, anche oscillando nel vuoto, l’opera rimane in attesa di domande, quasi fosse un oracolo, pronto a svelare e a celare ad un tempo il nostro grado di apertura alla conoscenza del mondo, della sua complessità, a partire dalla adesione all’imperativo delfico del “Γνῶθι σεαυτόν / Gnothi seautòn / conosci te stesso“.
Racconta come sotto la pellicola spietata e innocente delle cose si nasconda e si riveli un fascino che ha una sua vita propria, indipendente dalle sorgenti che danno origine agli eventi e alle loro narrazioni.
Gennai restituisce in ostensione o sotto vetro l’alfabeto dell’umanità, crittografato nelle scritture istologiche di natura animale e vegetale, estrapolato dalla sua contingenza storica, senza tuttavia negarla. Ne riconosce ed esalta l’energia metaforica e performativa, custode di una sapienza immutata nel trascorrere del tempo, troppo spesso messa sotto silenzio, con la violenza delle armi e del potere, che di volta in volta cambia connotati per aggiornare la propria ostinata grettezza, censurare l’identità che sussiste al di sotto della multiforme diversità.
Alfabeti antichi e nuovi, caratteri cufici, scritture arabe, eleganti, sinuose o filiformi, parole nel vento e ritagliate, si accumulano o si rincorrono ordinatamente a descrivere il vuoto di una memoria che racconta se stessa attraverso l’eco dell’ombra proiettata nel muro o sulla carta.
Le scritture arabe hanno cominciato ad affiorare nelle opere di Gennai a partire dagli anni ’80, ispirate ai bacini ceramici islamici e ai famosi stendardi sottratti dai crociati e conservati nella Chiesa dell’Ordine dei Cavalieri di Santo Stefano di Pisa; analogamente, le sue astratte geometrie hanno tratto ispirazione dalle tarsie marmoree delle architetture pisane medievali.
L’artista è tornato più volte, a distanza di anni, su queste fonti di ispirazione da lui tradotte su carta, sottoponendole ad un’analisi estetica e iconografica generatrice di nuove forme, lette in un sistema binario di ombre e di luci, di presenze e di sottrazioni. Ne ha strapolati gli elementi per ricomporli secondo una nuova disposizione logico-formale.
In particolare, sono gli stendardi ottomani ad aver polarizzato la sua ricerca, come nell’installazione Luna crescente, realizzata a Monaco nel 2012, per un vessillo esposto per circa 200 anni nel Duomo Frauenkirche come simbolo della vittoria sugli infedeli. Recentemente questa sua ricerca è stata documentata nel volume Le bandiere della Chiesa di Santo Stefano dei Cavalieri di Pisa, a cura di Marco Gemignani (CDL Libri 2016).
Dal dialogo con l’antico, colto nelle sue instabilità e persistenze, Gennai ha tratto un elegante repertorio di forme e di evocazioni, struggenti, come il controllato contrasto tra il nitore delle architetture degli Alcazar e i fitti arabeschi delle loro decorazioni interne. Il carattere suadente delle sue scritture si sprigiona con una ancora maggiore forza solcando algido il vuoto, penetrato dall’ombra. Queste conformazioni raggelate mettono a freno ogni istinto e irragionevolezza accantonando il bestiario delle violenze insensate antiche e a noi coeve, quasi invitando alla sospensione di giudizio, all’uso di ragione, non sprovvista tuttavia –verrebbe da dire- di un desiderio di pacificazione utopisticamente coltivato, come necessità dello spirito e dell’inconscio riconciliati, ad approdare in una terra di equilibrio e di felicità.
MfP